Quello della prossima tarda primavera, inerente alla materia costituzionale, è un referendum assai pericoloso per il Governo ed, in primis, per il Presidente del Consiglio, che ha deciso di investire moltissime energie politiche su siffatto tema.
Infatti, la tornata referendaria confermativa della riforma, approvata a breve in via definitiva dal Parlamento, si presenta non piena di ombre ed ostacoli, visto che, innanzitutto, non è scontato affatto l’esito favorevole della stessa in favore di Renzi.
L’approvazione, a maggioranza, della riforma del Senato non può non costituire il punto di forza dell’intero progetto riformatore, dispiegato finora dall’Esecutivo, ma il prezzo pagato è stato altissimo, dal momento che, per arrivare al monocameralismo, peraltro dagli equilibri costituzionali assai incerti, il Presidente del Consiglio ha dovuto scontare una scissione all’interno del PD, essendo stato necessario, finanche, stipulare un compromesso con una parte significativa del vecchio mondo berlusconiano.
Di fatto, su tale materia non solo si è divisa la pubblica opinione nazionale, che ha partecipato, in modo sia pure discontinuo, al dibattito, ma in particolare si è sciolto, come neve al sole, il vecchio Centro-Sinistra, così come noi eravamo abituati a conoscerlo.
Non solo il PD ha rotto, definitivamente, i suoi rapporti con le forze, che militano alla sua Sinistra, ma si è avvertita fortissima la differenza di posizioni fra chi, all’interno del Partito Democratico, proviene da culture molto diverse le une dalle altre, in particolare fra ex-comunisti, contrari – con accenti diversi – al progetto renziano, ed ex-democristiani, per lo più favorevoli all’idea di Renzi, anche se, talora, con qualche elemento di distinzione di non poco conto.
Cosa potrà accadere, allora, quando si andrà alle urne?
È evidente che, in quel caso, visto appunto l’investimento di energie politiche in materia di revisione della Costituzione, in gioco non ci sarà solamente la Carta del 1948, ma soprattutto saranno sottoposti a dura verifica gli equilibri della maggioranza.
Già, Berlusconi nel 2006 concluse, in modo poco soddisfacente, il suo ciclo governativo con il referendum, che bocciò la sua ipotesi di correzione della Costituzione, visto che non venne raggiunto il quorum, fattore necessario perché la tornata referendaria fosse valida.
Nel caso di specie, potrebbe verificarsi la medesima condizione, per cui Renzi, così come ha dichiarato apertis verbis, non solo sarebbe chiamato a fare marcia indietro sull’intero schema riformatore, messo in essere in due anni di dibattito parlamentare, ma dovrebbe chiaramente tirare le somme, come si dice in gergo, e quindi rassegnare le dimissioni.
È convenuto, allora, al Premier, dividere il suo partito, separarsi definitivamente dalla cosiddetta nuova Sinistra Italiana, scendere a patti con Verdini, per poi incamerare un risultato gramo, peraltro in prossimità di elezioni amministrative, che vedono andare al voto gli elettori delle città più importanti del Paese?
È vero che il politico deve sperimentare l’audacia necessaria per fare scommesse ed avere la giusta imprudenza, per tentare di arrivare a traguardi ambiziosi, ma non ci si può non domandare perché Renzi sia stato così poco saggio, da giungere a far dipendere la sua permanenza a Palazzo Chigi da un esito referendario, così altamente incerto e problematico.
Molto probabilmente, egli ha intravisto la possibilità di divenire il nuovo riformatore della Carta e di poter legare il suo nome al processo più importante di revisione della Costituzione, mai realizzato in Italia a partire dal 1948, ma evidentemente i rischi, che egli assume, non sono di scarso peso, dal momento che, come solo è stato alla guida del PD nel biennio di Governo, così altrettanto solo sarebbe dopo un’eventuale, sonora sconfitta, davvero cocente e senza appello in occasione del vaglio referendario della prossima tarda primavera.
Cui prodest?