Quello formato da Di Battista e Di Maio è, invero, un tandem eterogeneo, dal momento che i due leader del Movimento 5 Stelle presentano caratteristiche molto diverse l’uno dall’altro: il primo più abile nel rapporto con la piazza; il secondo molto più cinico nel ragionamento.
Certo è che, dopo la morte di Casaleggio e le vicende amministrative romane, il quesito intorno alla leadership del Movimento non può che essere legittimo: chi comanda, effettivamente, all’interno del secondo partito italiano, che potrebbe, nei prossimi anni, governare finanche il Paese?
Grillo è l’icona del Movimento, ne è il fondatore, ma invero non può essere colui che sarà investito di un ruolo istituzionale, nel caso in cui il M5S dovesse arrivare ad esprimere il nominativo del futuro inquilino di Palazzo Chigi.
Peraltro, come è noto, nel corso degli ultimi due anni, il Movimento è passato dalla guida ad opera di un Comitato alla condizione odierna, che vede nei due parlamentari i referenti possibili di una dirigenza nazionale, che è – ancora – tutta da costruire e da allestire.
Inoltre, non può sfuggire un dato: se negli altri partiti i Sindaci sono personalità di rilievo, per cui hanno una forza politica autonoma, all’interno del Movimento la condizione è diametralmente opposta; il livello nazionale detta gli indirizzi ai primi cittadini, per cui, come nel caso romano, non si riesce neanche poi a ricostruire la paternità di eventuali grossolani errori.
I Sindaci grillini, che invece vogliono far rispettare le prerogative date loro dalla legge elettorale, rischiano ben presto di cadere in disgrazia, come è successo al primo cittadino di Parma e come potrebbe succedere a quella di Torino, che sembra avere una maggiore autonomia di giudizio rispetto alla Sindaca romana.
In tal modo, i Sindaci vengono fagocitati dalla dirigenza nazionale, che evita sistematicamente che qualcuno dei primi cittadini possa, un domani, scalzare Di Battista o Di Maio o qualsiasi altro componente di rango parlamentare.
Sarà una strategia premiante?
Crediamo sinceramente di no, tanto più perché il tandem, che ora guida il M5S, è appunto eterogeneo ed è inevitabile che, quando nasceranno le ambizioni personali, i due leader odierni potranno, di fatto, ostacolarsi a vicenda, arrivando così ad una condizione di stallo.
Sarebbe cosa opportuna, allora, che il Movimento iniziasse ad articolarsi, effettivamente, alla stessa maniera dei partiti del Novecento, così da avere un’immagine plastica dei rapporti di forza al suo interno.
O, forse, siamo troppo ingenui, perché sono già un partito, con tutte le conseguenti articolazioni e lotte intestine, continuando ad apparire movimento, solo, per effetto dei sentimenti, particolarmente ridondanti, dei loro adepti?