Quella che può derivare, dopo la sconfitta referendaria, è una vera e propria crisi di sistema.
Infatti, non solo è caduto il Governo Renzi, sostituito da un dicastero, che ne è – in gran parte – la fedele riproduzione, ma soprattutto ha subito un duro scacco la credibilità della politica, visto che gli Italiani non hanno votato in merito, strettamente, al quesito referendario, ma hanno dato un’indicazione molto forte contro lo status quo ante.
L’intero sistema, a prescindere se si fosse schierato per il NO o per il Sì, ne esce – come si dice in gergo – con le ossa rotte, vista la delegittimazione che è conseguita, per effetto di un numero così alto di persone, che hanno espresso un voto contro l’arco costituzionale odierno dei partiti.
Quindi, non siamo solo in presenza di una disfatta per il PD o per Renzi, ma l’impressione molto forte è che sia venuto meno un ciclo importante della nostra storia politica, così come già avvenne ai tempi del crollo della Prima Repubblica.
Peraltro, l’analogia molto forte non può che trovare una conferma in un fatto ulteriore: anche allora, fu un referendum, quello voluto da Segni in merito alla preferenza unica, a determinare il crollo di Craxi, Forlani, Andreotti.
Poi, intervenne la Magistratura, che diede il colpo di grazia, per cui, delegittimati per via politica, quei rappresentanti dello Stato italiano vennero allontanati definitivamente dalla vita pubblica con una raffica di avvisi di garanzia e di arresti.
Oggi, potrebbe innescarsi un processo analogo, così come d’altronde già evidenziano, in prima battuta, i fatti emersi (o che stanno emergendo) che colpiscono, ineluttabilmente, le Giunte Comunali di Roma e di Milano.
È evidente, infatti, che quando l’autorevolezza del ceto politico diminuisce per un vulnus di rappresentatività, i leader diventano più fragili e, quindi, molto più esposti ai marosi della battaglia parlamentare, che può consumarsi in mille modi diversi ed attraverso dinamiche, spesso, subdole ed impreviste.
Siamo, forse, in presenza di una nuova Tangentopoli?
Certo è che, come dimostrano i fatti romani e quelli milanesi, l’intera classe politica del Paese è sottoposta ad un rigoroso controllo della legittimità del suo operato, che non può che determinare conseguenze quando, prima o poi, si dovrà pure andare a votare per rinnovare la rappresentanza democratica di Camera e Senato.
Renzi, quindi, ha innescato un meccanismo infernale, che rischia di ritorcersi non solo contro di lui, impegnato ora a difendere la Segreteria Nazionale del suo partito, ma contro l’intero sistema, così come almeno lo abbiamo conosciuto nel corso dell’ultimo ventennio.
Peraltro, alla fragilità renziana si aggiunge quella dei Grillini, che hanno perso la loro verginità con i fatti romani, e quella di Berlusconi, che nei prossimi mesi dovrà difendere le sue imprese dall’assalto dei capitali stranieri, che potrebbero a breve sottrargli il controllo di Mediaset.
Cosa ci aspetta, allora, in fondo a questo tunnel?
Nuovi partiti?
Nuovi leader?
Un nuovo sistema istituzionale, magari migliore di quello che voleva introdurre Renzi?
Un nuovo rapporto fra élite e popolo?
Certo è che, nei prossimi mesi, nel fare l’analisi dei futuri eventi, non potremo affatto morire di noia.