di Christian Sanna
Anche ai più ispirati, a volte, manca l’ispirazione. Colpa della mediocrità di troppi o forse colpa di nessuno. Stancamente, tutto passa e niente cambia davvero. Ritorna qualcosa, dopo essere andata lontano, ma non interessa più. Nè la presenza nè il suo profumo. Con la scrittura si cerca di incuriosire l’eternità, ma è un tentativo elementare, quindi prevedibile.
I più ambiziosi ambiscono all’indimenticabilità, il rischio è di non riuscire ad essere ricordati come si desidera venire ricordati. Funziona un pò come l’amore dove si registra senza traccia il fallimento più cocente della storia del sentimento: nessuno è amato come vuole essere amato. Ed allora si sta sempre ad interpretare l’altro, spesso interpretandolo male, con un occhio al proprio copione.
Perchè si sta sul palco della vita, diversamente dagli aquiloni sfuggiti di mano, senza la libertà di essere o non essere, ma con una strategia fine a se stessa. Ora voglio dire che non ho nulla in contrario a fare della mia vita la più sarcastica opera teatrale mai andata in scena, però gli attori intorno devono essere all’altezza. Il fingitore deve essere brillante, colto, convincente. Deve avere sensibilità, sentire il falso, diffidare del vero. Deve sentire il dolore dell’altro come fosse il suo dolore.
Significa interiorizzare qualsiasi cosa e restituirla in opera dimostrativa: insomma, fare cose buone/atti concreti, anche se non ci riguardano. Penso che la vita sia semplice, erroneamente le attribuiamo una complicatezza che non ha e che invece l’essere umano alimenta quotidianamente con un modo di fare ai limiti della sopportazione. La vita ci sopporta, quando potrebbe e forse dovrebbe supportarci, ma noi umani siamo obiettivamente insopportabili.
A nessuno è mai venuto in mente di intervistare l’oceano Pacifico e chiedergli come ci si sente ad essere continuamente inquinato. Uno e dico uno che abbia l’estro di andare da un terreno a domandargli: Chi ti ha avvelenato? Mi avvalgo dell’ignoranza di pensare che non esista animale al mondo più masochista e stupido dell’uomo: uno che umilia se stesso a tal punto e mi viene il dubbio che nemmeno provi piacere.
La Storia insegna che l’uomo non solo non impara dagli errori, ma nel tempo li potenzia. Li aggiorna. A nulla sono serviti dolori, conflitti, guerre, carestie, crisi, terremoti. Non hanno insegnato niente, ma lasciato solo dolore e lasciato i meno fortunati, da soli, con il loro dolore. Perchè così fan tutti: allo scoppio del dolore sono in tanti intorno a cercare di contenerlo, ma è una solidarietà dallo scatto breve. Dopo un pò di tempo si affievolisce l’emozione enfatizzata da quel dolore e chi c’è dentro il dolore, ci resta.
Per questa incapacità di sentire davvero, dove i più abili “empatizzano” o simulano ed i più scarsi se ne fregano, qualsiasi conquista sarà sempre una vittoria di Pirro o comunque una nota dolente nel successo. Non si arriva mai a quella pienezza, nessuno è appagato davvero. I più inappagati, talvolta, sono proprio quelli che pare abbiano tutto: danaro, potere, fama. Gente a cui probabilmente è rimasta la fame, ma che per vuoto interiore o vigliaccheria o altro che non mi viene in mente al momento, non è capace di soddisfare. In fondo, alcuni posseggono tutto, poi si accorgono di non avere niente e vanno in crisi. E per superare le crisi non bastano le cose, ci vogliono i mezzi: anima, cervello, solidità caratteriale, dubbi, incertezze, capacità di elaborare pensieri, il mare dentro non inquinato.
A volte basta ascoltare Giorgio Gaber e fare propri quei versi in cui recita Mi fa male il mondo, mi fa bene soltanto l’idea che si trovi una nuova utopia che contrasti la rabbia di un destino inumano.