Una strana compagna

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di Mariavittoria Picone

C’è un’epidemia, un male subdolo che sparge focolai ovunque, che si prova a ignorare o ad esaltare, come si fa con il potere, no, non è l’ipertrofia editoriale, no, non è il filler alle labbra e non è neanche il digiuno intermittente, è la bella signora di Morandi, che sorride a Venditti come una puttana: la solitudine.

L’individualismo esasperato, la macro-espansione dell’ego, frutto di una cattiva interpretazione dei testi di psicologia e di scaltri e disonesti motivatori, il capitalismo, il finto benessere, l’assunzione a religione della medicina, l’autocelebrazione social, la demonizzazione della tristezza, la spettacolarizzazione di ogni sentimento sono cause e conseguenze del processo di autoisolamento, che nell’ultimo decennio si è particolarmente accelerato. James Hillman, fondatore della psicologia archetipica, parla della solitudine partendo dalla questione teologica, poiché la religione attribuisce alla sofferenza della solitudine il senso della punizione.

Nella cultura occidentale, la solitudine è una conseguenza di comportamenti e scelte personali; nella cultura orientale, ha comunque un’accezione punitiva, ma conseguenza di errori commessi nelle precedenti vite, quindi sconosciuti.
Anche fuori dalla religione l’isolamento rappresenta una punizione: chi sbaglia viene messo in condizione di non poter vivere in comunità.

Da qui, l’angoscia legata alla solitudine: chi è solo si sente giudicato e condannato.
La solitudine non ha un’accezione positiva, nonostante lo sforzo di filosofi, intellettuali e validi psichiatri, nessuno è mai riuscito a considerare benefica la solitudine, se non per sporadici e brevi momenti, perfino l’eremitismo di Zarathustra non è eterno.

La solitudine deve durare quanto basta, non oltrepassare il confine della bella inquietudine, ché dietro c’è l’apatia o l’angoscia.
Sempre Hillman estende la “colpa” all’ambiente esterno, la solitudine, quindi, non è una questione personale e, aggiunge, se intesa come archetipo, rappresenta un’evoluzione che consente la discesa dell’anima.

Questa sorta di orientalizzazione della tradizione occidentale ci dovrebbe aiutare a considerare la solitudine una condizione naturale, utile per la conoscenza di sé e il miglioramento, ma, soprattutto, un sentimento di cui non vergognarsi.
Se è vero che la solitudine non è una punizione, è vero anche che i peggiori giudici di noi stessi siamo noi. Alla fine, la solitudine è un’attesa, da impiegare bene.

Mariavittoria Picone nasce in un caldo dicembre del 1970 a Napoli, dove vive e lavora. Ha pubblicato racconti e poesie su blog e riviste on line. Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo Condominio Arenella (IOD Edizioni), accolto favorevolmente dalla critica e dai lettori. Nel 2021 pubblica, sempre con la casa editrice IOD, la raccolta di versi e pensieri Novantanove fiori selvatici. Sognatrice pragmatica, poetessa in prosa, sempre in bilico tra ordinarietà e magia, ironica e drammatica, si definisce un fiore selvatico, un'erba ostinata, nata tra il fuoco e l'acqua, tra un vulcano e il mare.