La morte di Fidel ha, ineluttabilmente, aperto il dibattito intorno alla figura più discussa del secolo scorso.
Rivoluzionario o dittatore?
Liberatore o tiranno?
Amico sincero del popolo o, solo, amante della propria immagine internazionale?
Certo è che il Castrismo ha lasciato segni profondi in una realtà, come quella cubana, che alla fine degli anni Cinquanta era vittima degli interessi americani, rappresentati e gestiti da Batista e dal suo regime.
Ma, Fidel, in pochissimo tempo, dopo la salita al potere ha manifestato la reale immagine della sua personalità e del governo, che aveva creato: la difficoltà dei rapporti con il Che costrinse quest’ultimo a lasciare Cuba ed a tentare l’esperienza rivoluzionaria nel resto del Sud America, rimanendo così vittima di una cospirazione, alla quale lo stesso Fidel, volente o nolente, ha partecipato.
L’alleanza, poi, con l’Unione Sovietica ha consentito a Fidel di sopravvivere, nonostante gli embarghi statunitensi, ma frattanto il regime ha sempre più evidenziato il suo volto disumano.
Testimonianza sono le centinaia di migliaia di dissidenti, costretti a rimanere negli Usa, impossibilitati a ricongiungersi con i propri familiari.
Si dirà che Fidel ha eliminato il lupanare a cielo aperto, che era Cuba ai tempi di Batista, ed ha dato istruzione e sanità a tutti.
Sulla prima affermazione, sinceramente, dissentiamo, visto che tuttora Cuba è la meta di un turismo che presenta, anche, finalità che poco o nulla dovrebbero inerire ai flussi turistici.
Quanto alla sanità ed all’istruzione pubblica, esse sono un dato inoppugnabile, ma degli obiettivi minimi di civiltà, come questi, possono essere barattati con la libertà?
Crediamo, sinceramente, che con la morte di Fidel sia morta l’ultima icona del Novecento, ma non sempre le icone lasciano un’eredità favorevole e, talora, diventano tali perché il giudizio sul loro operato presenta uno slittamento di senso, che non facilmente può essere inquadrato – storiograficamente – in modo univoco e certo.
A noi piace ricordare, piuttosto, il Che; d’altronde, fra lo Stalin ed il Trotsky dei Caraibi, è sempre il secondo da preferire al primo.