di Rosario Pesce
Una delle immagini toccanti dello scorso Campionato Mondiale di calcio fu, certamente, rappresentata da quella del mister uruguagio, O.W. Tabarez, che nonostante le stampelle era in panchina a guidare i suoi ragazzi nella competizione sportiva più importante.
Oggi, a distanza di due mesi da quell’evento, lo stesso Tabarez ha rinnovato il contratto con la sua Federazione per altri quattro anni, fino cioè alla veneranda età di settantacinque anni.
È chiaro che siamo di fronte ad un fatto di grande importanza.
Un uomo di sport, qual è il mister sudamericano, non solo si è adoperato per superare i limiti della sua disabilità fisica, ma ha programmato di continuare a svolgere il suo lavoro per un periodo ancora lungo, come se appunto il suo grave problema fisico possa non condizionarlo.
È evidente che il messaggio, che consegue, è di straordinaria rilevanza morale: lo sport insegna all’uomo a superare i propri limiti, per cui, anche in tal caso, lo sportivo è andato ben oltre l’ostacolo che gli ha creato la natura.
Quanti fra noi avrebbero il coraggio di mettersi in gioco, nonostante una grave disabilità che preclude la possibilità di deambulare in modo autonomo?
È, questo, un segnale fortissimo per le moltissime persone, che non hanno la notorietà di Tabarez, le quali si sforzano di vivere una vita “normale”, ad onta di problemi rilevanti che possono inerire al loro stato di salute.
Solo così, d’altronde, l’uomo può aspirare a spingere in avanti il limite proprio e quello imposto da una natura, non sempre benigna, che lo costringe a vivere infermità che sono disabilitanti in modo rilevante.
Forse, non tutti avranno analoga forza fisica e morale, per andare oltre i limiti di una condizione contingente, ma è certo che l’umanità ha bisogno di siffatti simboli, che consentono a tutti di percepire un messaggio positivo e propositivo, nonostante le evidenti e molteplici negatività del quotidiano che, pure, non possiamo negare.