A ogni inizio di anno accademico si rinnovano puntualmente le lamentele contro la cronica inefficienza delle istituzioni accademiche, oggetti predestinati delle solite invettive: “ fabbriche di disoccupati”, “esamifici”, “aree di parcheggio”, e via discorrendo. Una situazione più che problematica quella che vivono le Università italiane. Una situazione di reale malattia, non di malessere, tale da dover legittimare le etichette che si è procurata.
Ciononostante, e contrariamente a quanto avviene in altri sistemi pubblici, l’università in Italia comunque attraversa una fase di espansione. Gli studenti continuano ad aumentare , soprattutto quelli stranieri.
Sembra di essere di fronte ad un esercito le cui file si ingrossano a dismisura, ma all’adunata di fine anno si scopre che un gran numero di quei soldati ha “disertato”. Al loro posto altri volti, altre aspettative, altre illusioni che presto cadranno, ma loro non lo sanno ancora. Intanto gli addetti ai lavori ( professori, intellettuali, studiosi e politici) sciorinano discorsi, diagnosi e cure all’insegna del vaniloquio allucinatorio.
Non sorprende, quindi, che questa lontananza dalla realtà e soprattutto dalla conoscenza delle cause di tale inefficienza, partorisca misure e provvedimenti predestinati a fallire perché inadeguati. In passato c’è chi ha pensato di risanare queste “aree di parcheggio” privilegiando aspetti come l’autonomia, la gestione delle risorse, la ricerca, le modalità dei concorsi e la “revisione” dei numeri chiusi.
Gli studenti in ogni caso vengono quasi sempre ignorati. La questione viene a galla solo in occasione delle loro contestazioni, eppure sono loro i destinatari delle attività accademiche oltre ad essere i professionisti di domani. Ignorata quasi sempre è l’esperienza universitaria così come è esperita dallo studente. Un vissuto sommerso di anni che non è soltanto fruizione di sapere, perché l’università è anche il luogo fisico e simbolico in cui si cresce e si confeziona il futuro.
Bisognerebbe conoscerli meglio gli studenti. Intervistarli e capire ad esempio perché la maggior parte degli studenti di Sociologia ( durante una intervista campione) siano risultati spesso reticenti, telegrafici e confusi ( e vogliono fare i sociologi). Incerti e confusi quando parlano delle aspettative che nutrono verso l’Università.
Più d’uno non sa neanche cosa siano. Addirittura molti iscritti a Scienze della comunicazione difettano nel primo requisito della comunicazione stessa: il linguaggio, che spesso non va oltre i “cioè” e la gergalità più o meno dialettale.
Arrivano così dalle varie Scuole superiori. Quasi tutti vogliono fare i giornalisti, o i ricercatori nelle Università, ma raramente conoscono i percorsi e le vie d’accesso a queste professioni.
Però hanno idee chiare su cosa si potrebbe fare per vivere meglio l’università, e pagherebbero anche tasse più elevate se ci si accorgesse delle loro necessità.
Intanto più in generale, si farà sentire al primo anno anche un disorientamento totale. E’ ovvio, perché gli studenti scoprono, vivendola, cos’è l’Università, e nella maggior parte dei casi oltre alla lacunosità della preparazione, gli studenti sperimentano una perdita di identità dovuta al radicale cambiamento delle relazioni umane e del metodo di studio. Non c’è più la rassicurante combriccola di classe, né i prof. che vedi quasi ogni giorno. L’Università statale dispone di spazi ridotti dove è possibile fermarsi, anche per studiare e poter socializzare, spesso sono le biblioteche o addirittura i bar limitrofi a diventare surrogati di questi spazi inesistenti.
Un ultimo pensiero al “famigerato” numero chiuso. I test come meccanismi di selezione di accesso sono solo provvedimenti che selezioneranno il numero e la preparazione degli immatricolati. Nessuno può assicurare, però che tra questi ci saranno giovani informati realmente su quello che è la facoltà scelta e su cosa questa effettivamente darà loro, se il servizio offerto rimarrà inalterato. Insomma, nessuno può giurare che tra loro non ci siano dei futuri drop out. Intanto, però, l’Università sta a guardare.