di Gianluca Spera
Era ampiamente prevedibile che Bonafede non sarebbe caduto per un voto sfavorevole del Senato, decretando la fine del governo Conte.
La partita era già stata giocata nei corridoi del potere dove Renzi è riuscito a racimolare qualche posticino nel sottobosco governativo che lo ha convinto a recedere dai suoi propositi bellicosi, o presunti tali. La sua consistenza attuale non gli ha consentito di spodestare il ministro dimezzato nemmeno in un eventuale rimescolamento dei ruoli di governo. Il crepuscolo triste, solitario e finale di un ex premier che ancora non si è accorto di aver superato da tempo il viale del tramonto.
Ne esce malissimo il senatore di Scandicci che ricorda Tortora ma offre la scialuppa di salvataggio alla testa di ponte del più becero travaglismo.
Ne esce molto male anche il PD costretto a ingerire il rospo sanfedista pur di restare al governo, peraltro pretendendo dal ministro “una discontinuità” che solo un cambio della guardia a via Arenula poteva garantire.
Ne esce a pezzi anche l’opposizione di destra che ha tentato la spallata al governo e a Bonafede sull’onda del gilettismo capace di oltrepassare addirittura il giacobinismo spregiudicato del peggior ministro della Giustizia della storia repubblica.
Fin qui i tatticismi, il piccolo cabotaggio, la politica politicante che bisticcia platealmente in televisione e si accorda silenziosamente nel retrobottega, ma, poi nel grigiore di un dibattito asfittico e sterile, è apparso un diamante raro, luccicante nonostante le scheggiature dovute ai segni della malattia, un diamante che brilla per la profondità del pensiero e per l’audacia di chi non teme di procedere controvento. Parlo ovviamente del discorso di Emma Bonino che risuonerà per molto tempo in aule più abituate a risse, urla, strazi, strafalcioni, arlecchinate.
Oggi la Bonino ha riportato la Politica al centro della scena.
“Se dovessi esprimere il punto in cui la nostra idea di giustizia e la sua più divergono è esattamente nell’idea che la giustizia coincida con le manette, la pena con la galera e la forza del diritto con quella che Leonardo Sciascia chiamava la terribilità”.
Appunto, terribilità: quella che connota l’azione politica del più sprovveduto degli sprovveduti, del più incosciente tra gli incoscienti, del più analfabeta tra gli analfabeti del diritto che sia mai capitato sulla poltrona di via Arenula. Una ferita profonda per il diritto e la giustizia che continua a grondare sangue.