di Rosario Pesce
Con il rientro in aula delle classi della Seconda di II grado termina la fase emergenziale della Scuola italiana, che è durata più di un anno, da quel 5 marzo 2020 quando, per la prima volta, gli Italiani compresero gli effetti che il covid avrebbe avuto sulla vita degli studenti.
In questi mesi, tranne che per periodi molto brevi, la didattica è stata condotta per lo più a distanza.
Invero, nei mesi terminali dello scorso anno scolastico, l’esperienza venne condotta dai docenti in modo pionieristico, ben sapendo che si era di fronte ad un fatto nuovo che avrebbe richiesto di mettere in gioco non solo le competenze già acquisite, ma soprattutto la buona volontà di chi non è nativo digitale e di chi si trovava, in quella contingenza storica, a dover piegare i propri metodi di insegnamento in funzione delle opportunità e dei vincoli offerti dallo strumento tecnologico.
Quella scommessa è stata vinta, comunque.
La Scuola italiana è stata in grado di offrire, senza soluzione di continuità, un servizio essenziale per gli studenti e per l’intera società, evitando così che, nella vita dei discenti, potesse esserci un periodo vuoto in termini di acquisizione di conoscenze e competenze.
Lo Stato ha impiegato ingenti risorse economiche per fornire alle Scuole gli strumenti tecnologici necessari per la Dad ed, all’interno delle istituzioni scolastiche, nessun operatore si è tirato indietro, dimostrando mediamente un ottimo spirito di adattamento rispetto alle novità imposte dalla pandemia.
Naturalmente, i disagi non sono mancati: è obiettivamente aumentata la dispersione scolastica e, soprattutto, è aumentato il disagio di molti adolescenti costretti ad una “deminutio” di socialità, ma di quest’ultima la causa è stata la diffusione del virus, non certo la Dad.
Orbene, con il rientro in classe – nell’auspicio che sia, questa volta, definitivo – bisogna porsi l’interrogativo in merito al futuro della Dad, che non può essere abbandonata da chi fa didattica in modo estemporaneo, come se essa fosse la causa del disagio giovanile o della diminuzione degli apprendimenti.
Certo, la Dad non può, né deve sostituire la didattica in presenza: d’altronde, se fossimo di nuovo in presenza di una simile eventualità, ciò significherebbe che la pandemia non è stata eradicata e che ha ripreso la virulenza dei mesi peggiori della scorsa primavera.
Ma, la Dad deve e può essere uno strumento utile di integrazione del bagaglio didattico dei docenti e può essere occasione preziosa per fornire un mezzo ulteriore per favorire i processi di potenziamento della didattica ordinaria, partendo magari dall’implementazione di un’unica piattaforma ministeriale per tutte le autonomie scolastiche ed avviando percorsi di ricerca pedagogica lungo un sentiero che merita di essere esplorato fino in fondo.
Se così sarà, il Covid ci avrà lasciato un’eredità importante: la possibilità di innovare i nostri stili di insegnamento e di apprendimento, facendo della tecnologia telematica uno strumento utile per la crescita di una società sempre più complessa e dominata da spinte centrifughe, non sempre virtuose.