di Christian Sanna
Ne Il Petomane, commedia di Pasquale Festa Campanile, ispirata dalla storia vera del fantasista francese Joseph Pujol, Ugo Tognazzi interpreta il “Paganini del peto”: un ex panettiere che nella Belle Epoque, riesce a riprodurre qualsiasi tipo di rumore o di suono mediante un talento assai bizzarro che non mi pare il caso di approfondire scendendo nei dettagli. Scroscianti applausi del pubblico dopo ogni esibizione al Moulin Rouge locale in quel di Pigalle, dove ogni sera si esibisce con la sua banda composta dai quattro figli. Pujol ritiene di essere un artista di talento e non uno scoreggione come pensa uno dei suoi figli.
Ferito nell’orgoglio lo caccia dalla banda e avvia le audizioni alla ricerca di un nuovo violoncellista. Ma quando si presenta la raffinata Catherine (interpretata dalla Melato) non ha il coraggio di rivelarle la sua vera arte e decide di affidarle un altro incarico. E quindi? Pensate, basta l’entrata in scena, nella vita di un uomo, di una donna elegante dall’aria sofisticata, per mandare in crisi anni di convinzioni e di orgoglio ostentati. Potenza di una dea o fragilità testosteronica di un comune mortale?
La risposta risiede probabilmente in un testo “Tutto il resto è noia” che è filosofia di vita, di certo il marchio di fabbrica di un guru del settore, l’indimenticato Califfo della canzone italiana. Franco Califano è stato un poeta di una sensibilità smisurata, ma anche grande amatore e uomo di mondo. E quando canta ” l’invito a cena dove c’è atmosfera/ la barba fatta con maggiore cura/ la macchina a lavare ed era ora” sposta l’attenzione su un aspetto che il più delle volte sfugge o comunque passa inosservato: la preparazione, la cura dei dettagli. Uscire con una donna che ci piace rappresenta sempre un piccolo evento con tutte le variabili emozionali del caso, anche se si è navigati e non proprio alle prime armi. Si tende, alcuni strategicamente altri involontariamente, a dare il meglio di sè, insomma a cercare di fare bella figura a tutti i costi. A volte capita di ottenere addirittura l’effetto contrario e cioè di andare incontro a delle figuracce da imbranati o principianti, proprio perchè non si è riesce a dosare l’adrenalina e a gestire l’ansia. E quando Franco incalza “la prima sera devi dimostrare che al mondo solo tu sai far l’amore”, lo stress emotivo esce allo scoperto e ringrazia.
Ne L’uomo che amava le donne, l’ingenere e scrittore Bertrand Morane è un donnaiolo con un punto di vista sull’amore abbastanza cinico, ama la solitudine, ma non può fare a meno di guardare tutte le donne, consapevole del potere che hanno su di lui le nuove conquiste. Un’esistenza condizionata dalle figure femminili che è facilmente riassumibile con le parole della narratrice ( sua amica ed editrice) “Bertrand ha inseguito un’impossibile felicità nella quantità, nella moltitudine: perché abbiamo bisogno di cercare in tante persone ciò che la nostra educazione pretende di farci trovare in una sola”. È chiaro che l’uomo, soprattutto nella società moderna, si scopre fragile, indebolito nelle convinzioni e la causa è tanto riconducibile ad una propria mancanza di certezze e quindi ad un’incapacità di strutturasi attraverso la profonda conoscenza di se stessi ed ad un dialogo proficuo, quanto alla crescente e sempre più forte convinzione nei propri mezzi delle donne; una donna convinta delle proprie capacità e del proprio fascino è un carrarmato, destinato ad “asfaltare” il sesso “forte”, caduto in disgrazia.
Una cosa è certa: donna e uomo sono pianeti lontani di universi diversi e probabilmente resteranno l’uno il mistero dell’altra, con le donne sensibilmente in vantaggio nella partita del mistero. Decifrare gli umori femminili è come entrare in un labirinto complicatissimo in cui l’uscita, rappresentata dalla totale comprensione, è impresa assai ardua. La donna rinfaccia all’uomo di non capire o di fare finta di non capire, ma quello che lei stessa non capisce è che capire gli stati d’animo femminili è come risolvere il Cubo di Rubik senza vederne i colori.
La donna chiede all’uomo una profondità che forse questo per caratteristiche non ha; è come pretendere dal Mar Ionio una profondità superiore rispetto all’ oceano Pacifico. Ma allora come si esce da questo inutile impasse? Fingendo! Mettendo in scena una commedia romantica, in cui i ruoli sono ben definiti e la recita è fatta con sentimenti veri. Deve essere teatrale la costruzione di un equilibrio, ma assolutamente sinceri i sentimenti. Insomma, la diplomazia! Se si vuole andare avanti in un rapporto bisogna affinare le tecniche di mediazione senza mai “sottomettersi” a nessuno, mantenere intatta la propria personalità; non è che per quieto vivere uno dei due si annulla completamente per compiacere l’altro. Verrebbe meno l’impalcatura e quindi la credibilità del rapporto e probabilmente anche la stima dell’altro; un individuo senza “spina dorsarle” può apparire bello solo agli occhi della propria madre.
La pausa dalla recita scatta quando il maschio è insieme agli amici; in questo intervallo l’individuo si sente finalmente libero di essere totalmente se stesso, incurante di inciampare in figuracce e banalità. Perchè con un amico non devi dimostrare d’essere migliore di ciò che sei, non scatta l’ansia da prestazione, non te ne frega nulla delle apparenze e se hai il talento del petomane sganci le tue liriche nell’etere, cantando a squarciagola ” Sono io il re scorreggione. Lanciare peti nell’aria è la mia missione”. Marco Valerio Marziale poeta latino diceva “Non posso vivere con te nè senza di te”, questa è anche la mia maledizione: assoluta incapacità di vivere con una donna e desiderio costante di averla fortemente intrecciata alla mia vita. E allora come si fa? Basta ascoltare “Una donna per amico” di Lucio Battisti. Spesso le risposte più efficaci si trovano nelle canzoni.